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   CATACOMBE DEI CAPPUCCINI A PALERMO
   
Chiesa dei Cappuccini  |  Le Catacombe di Palermo |  Frate Silvestro da Gubbio  | Enorme concentrato di Mummie |  Visitatori illustri |  Metodi di conservazione   

Chiesa dei Cappuccini


  A Palermo esiste una chiesa (Chiesa di Santa Maria della Pace), comunemente conosciuta come “Chiesa dei Cappuccini”.

E’ storicamente accertato che i Cappuccini francescani arrivarono a Palermo nel giugno del 1534 e ottennero subito la concessione di un terreno e il permesso di costruire un convento. Documenti storici affermano che nel 1565 i Cappuccini avevano già realizzato la Chiesa o comunque riadattato un complesso eventualmente preesistente.
La Chiesa fu ristrutturata in seguito nel 1618 con una ricostruzione dalle fondamenta che ne alterò completamente l’originaria struttura. Un’altra ed ultima ristrutturazione avvenne nel 1934, allo scopo di aumentare la capienza interna di fedeli.

                                                                   

 

 

Le Catacombe di Palermo
 La fama del convento è dovuta soprattutto alla presenza di uno strano cimitero sotterraneo, da sempre definito "Le Catacombe" della città di Palermo. Costituito da lunghe gallerie scavate nel tufo, per un’estensione di circa 300 mq.
Le Catacombe dei Cappuccini sorsero come semplice cimitero e il loro attuale sviluppo ed aspetto lo si deve, per certi versi, al caso.
I Francescani avevano ottenuto con una Bolla papale l’autorizzazione ad essere seppelliti all’interno delle loro Chiese. I Frati che si stabilirono a Palermo collocarono il luogo per la loro sepoltura sul lato meridionale della Chiesa: una grezza cisterna scavata nel tufo dove i cadaveri venivano calati dall’alto, rimanendo ammucchiati alla rinfusa. Per tutto il XVI secolo i frati vi seppellirono oltre ai loro defunti soltanto due “estranei”. Nel 1597, giacché la fossa-cisterna era divenuta insufficiente, i Frati decisero di dotarsi di un “cimitero sotterraneo” più ampio e iniziarono lo scavo delle “Catacombe” (così era definito “qualsiasi cimitero sotterraneo” già in una Disposizione Papale del 380 d.C.) dietro l’altare maggiore della Chiesa. Negli annali si legge che quando i frati furono per traslare i corpi dei loro confratelli seppelliti della prima fossa, per portarli nella nuova sepoltura, trovarono tali corpi interi nonostante fossero stati inumati sovrapponendoli gli uni agli altri senza cassa e avvolti soltanto da un lenzuolo. Ovviamente tale fatto suscitò scalpore tra i frati i quali non seppero dare una spiegazione a tale fenomeno, ma compresero che quell’ambiente doveva essere in qualche maniera responsabile del fatto.

 


                                                                   

 

Frate Silvestro da Gubbio
 

   Molti a questo punto si chiederanno in che maniera, in questo argomento, c’entri Gubbio e gli Eugubini!

    Ebbene il primo nuovo “ospite” delle “Catacombe dei Cappuccini” di Palermo fu proprio un eugubino: Frate Silvestro da Gubbio (morto il 16 ottobre 1599) il cui corpo ancora oggi è esposto con un cartello che ricorda il suo “primato”:

 

Frate
 
Silvestro da Gubbio
 fu il primo ad essere sepolto
in questo luogo
16 ottobre 1599

                     


                                                                

 

Un enorme concentrato di Mummie


La catacombe dei Cappuccini oggi contiene il più grande concentrato di mummie italiane, stipate all’interno di scaffali, sistemati lungo le pareti dei tenebrosi corridoi sotterranei, si offrono agli occhi dei curiosi visitatori poco meno di 7000 mummie. Per quasi tre secoli, dal 1599 al 1881, i notabili di Palermo hanno affidato ai monaci del Convento dei Cappuccini il compito di mummificare e custodire anche i loro defunti. I corpi venivano collocati in appositi colatoi e trattati poi con bagni a base di aceto e di acqua di calce; in pochi mesi le carni si rinsecchivano acquistando una durezza e una compattezza simile al cuoio e resistente nei secoli. A questo punto, i corpi venivano rivestiti con i loro normali abiti e collocati nei sotterranei del Convento, dove i parenti potevano andare a visitare il congiunto, ritrovandolo, in alcuni casi, quasi intatto.

Come detto sopra, l’usanza di affidare i defunti ai Cappuccini si è interrotta nel 1881. Sono rimaste le mummie, a solo uso e consumo dei turisti che, con morbosa curiosità, affollano quotidianamente le Catacombe.


                                                                    

 

Visitatori illustri


  Questo strano cimitero ha destato la curiosità di diversi visitatori fra cui il poeta Ippolito Pindemonte, che visitò le catacombe nel giorno dei morti nel 1779 e le decantò nei versi dei suoi "Cimiteri", (vv. 126-136):
 «………spaziose, oscure
 stanze sotterra, ove in lor nicchie, come
 simulacri diritti, intorno vanno
 corpi d'anima voti, e con que' panni
 tuttora, in cui l'aura spirar fur visti;
 sovra i muscoli morti e su la pelle
 così l'arte sudò, così caccionne
 fuori ogni umor, che le sembianze antiche,
 non che le carni lor, serbano i volti
 dopo cent'anni e più: Morte li guarda,

 e in tema par d'aver fallito i colpi».

La città di Palermo, grata e riconoscente all’illustre poeta, chiamò la strada che porta alla Chiesa e quindi al cimitero "Via Pindemonte".

Anche il celebre scrittore francese Guj de Maupassant che, avendole visitate nell’anno 1885, vi rivolse la sua attenzione e si soffermò lungamente sul metodo dell’essiccamento.

Giacomo Leopardi, nei “Paralipomeni della Batracomiomachia” (canto VIII stanza 16) ne fa un’ interessante descrizione:

Son laggiù nel profondo immense file
di seggi ove non può lima o scarpello,
seggono i morti in ciaschedun sedile
con le mani appoggiate a un bastoncello,
confusi insiem l'ignobile e il gentile
come di mano in man gli ebbe l'avello.
Poi ch'una fila è piena, immantinente
da più novi occupata è la seguente.

                                                               

 

Metodi di conservazione


Oggi, quello che più colpisce maggiormente il visitatore sono le notizie relative al metodo utilizzato dai frati per la conservazione dei cadaveri. In verità tale metodo doveva essere a quei tempi così usuale che nessuno degli autori, che nel passato si sono occupati del cimitero, ha ritenuto opportuno riportarlo nei suoi scritti con precisione.  Il primo a parlarne fu Gastone Carlo, nella sua opera “ Viaggio in Sicilia” del 1828.  Egli descrive sommariamente il metodo riportando nei suoi scritti che i cadaveri venivano posti in una stanza, distesi o seduti e, serrata la porta per non farne uscire la puzza, vi rimanevano per un periodo di circa un anno, quindi all’apertura si ritrovavano interi ed intatti. In seguito in un verbale redatto dopo un’ispezione del Senatore della città di Palermo, Federico Lancia di Brolo si rileva che i cadaveri non più di 8 – 10 venivano introdotti in una stanza, distesi sopra una grata fatta di tubi di terracotta e chiuse ermeticamente le porte, vi restavano per un periodo di circa otto mesi o un anno. In seguito venivano trasportati in un luogo ventilato coperto con tettoia, dove, venivano lavati e ripuliti con acqua ed aceto, quindi rivestiti e collocati nella casse di legno o nelle nicchie lungo i corridoi. Rimanevano li solo se i parenti andavano a trovarli e portavano loro la cera per tre anni consecutivi altrimenti venivano rimossi. 

In periodi di gravi epidemie, per la conservazione, si usava immergere i cadaveri in un bagno di arsenico o di latte di calce ed è questo il metodo utilizzato per il cadavere di un certo Antonio Prestigiacomo caratterizzato dal colorito rossastro.
Fu pure adottato un metodo a base di farmaci inventato dal dottor Solafia del quale però non si conosce l’esatto procedimento usato; tale trattamento fu adoperato per il cadavere della piccola Rosalia Lombardo morta il 6 dicembre 1920. Si dice che il cadavere fu trasportato nel cimitero perché il dottor Solafia
procedesse all’imbalsamazione, per poi essere seppellita altrove. Ma il dottor Solafia, iniziato il procedimento, non poté portarlo a termine a causa della sua prematura morte e per cause non conosciute il corpicino della bambina è rimasto ai piedi dell’altare oggi dedicato a Santa Rosalia.