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   "MASTRO GIORGIO" ANDREOLI

    Biografia  |  La tecnica del Lustro  

     Mastro Giorgio è uno dei personaggi eugubini più famosi nel mondo, vero orgoglio artistico della nostra città. Da Parigi a Londra, da New York a Pesaro, da San Pietroburgo a Rotterdam, chiunque può ammirare le opere di questo grande maestro. In tante parti del mondo, infatti, si può apprezzare la perfezione delle sue opere ancor più che a Gubbio (basti pensare che nella sua città sono presenti in mostra permanente solo pochissime delle 600, 700 opere circa della sua intera produzione).
    In molti hanno cercato di seguire le sue orme, in molti, nel corso del tempo, hanno cercato di ricreare invano quella tecnica del lustro, piena di segreti, che l'ha reso famoso per l'arte della ceramica, tecnica che, purtroppo, egli ha portato via con sé, alla sua morte.

Biografia


     Giorgio Andreoli, più conosciuto da tutti come "Mastro Giorgio", nacque ad Intra (attuale Verbania, sul lago Maggiore) intorno al 1465-70 e morì a Gubbio nel 1555.
    La sua lunga attività di vasaio fu svolta, insieme ai suoi fratelli Salimbene e Giovanni, interamente a Gubbio, dove tutti tre i fratelli, intorno al 1490, si erano trasferiti.
    La prosperità del lavoro fece sì che, nel 1497, Giorgio e i fratelli acquistassero terreni, casa e bottega nel quartiere di "S. Andrea".
    Da ciò deriverebbe, secondo lo storico eugubino Giuseppe Mazzatinti, il cognome "Andreoli", non apparendo esso mai in atti anteriori al 1523.
    Nell'anno seguente, 1498, mastro Giorgio chiese e ottenne per vent'anni per sé e per i fratelli, Giovanni e Salimbene, la cittadinanza eugubina, poi rinnovata, nel 1519, da Papa Leone X senza limite di tempo, in considerazione "della sua eccellenza nell'arte della maiolica, tanto che nessuno gli è pari", e "per l'onore che ne deriva alla città, al Signore ed al comune di Gubbio presso tutte le Nazioni dove vengono portati i vasi della sua fabbrica e per il grande guadagno ed utilità di dogana"
    Nel 1525 Giorgio si associa ad un pittore di Casteldurante (Giovanni Luca) perché dipinga i vasi, sui quali egli avrebbe applicato poi i "riverberi", e chiama da Urbino un altro maestro (Federico), che si impegnava a far vasi "bene et fideliter"
    Nel 1536 si separa dagli eredi dei suoi fratelli (Salimbene era deceduto prima dell'anno 1523, Giovanni verso il 1535) e da quell'anno la bottega è continuata dai figli Vincenzo (Cencio) e Ubaldo, anche se la sua attività non cesserà fino al 1541 circa.
    Nel 1547 i due fratelli, col consenso del padre e con apposito contratto, fanno fra loro società per l'esercizio dell'arte nella bottega paterna: Cencio si assume il compito della fabbricazione di ogni genere di vasi, Ubaldo di dipingerli e farli dipingere, nonché di completare i vasi dipinti a maiolica, con colori oro, violacei, madreperla e rosso di rubino, colore creato solo da Mastro Giorgio. Perciò spesso sopra la medesima opera si trovano sia la firma dell'artista che dipingeva, che quella del maestro eugubino che poneva sull'opera lo strato di lustro.
    La prima fase dell'attività artistica di Mastro Giorgio non ci è nota. L'opera più antica oggi nota, ornata a lustri rosso rubino e oro, è un piatto datato 1515 conservato al Victoria and Albert Museum di Londra;
    Altri pezzi sicuri sono datati 1518, segnati e firmati dal maestro eugubino sul retro dell'opera (talora con M G, talora con l'intero nome seguito dalla data o dalle parole "in Ugubio").
    Non si può rigorosamente affermare che Giorgio abbia trovato nuove composizioni decorative. Dapprima la sua officina segue gli schemi ornamentali in uso a Deruta; poi (verso il 1525) quelli di Faenza e di Casteldurante, infine (1530) quelli di Urbino.
    Durante la sua attività Mastro Giorgio produsse anche opere più semplici e poco apprezzabili, e in alcune opere fu aiutato da altri artisti della zona. Rimase comunque inalterata nel tempo la sua grandezza, tanto che nel 1911 portò un collezionista inglese a pagare 2.520 sterline per un piatto firmato e datato 1522.
    Il segreto del processo chimico che diede al vasaio eugubino una tale fama, che si credeva perduto, fu a metà del secolo XIX ritrovato parzialmente ed applicato sulle ceramiche smaltate e dipinte.

Oggi, a Mastro Giorgio è dedicata una Scuola di Gubbio:
Scuola Media Statale "Mastro Giorgio"

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La tecnica del Lustro


    La tecnica del lustro, o come era detta nel '500, della maiolica (dall'isola di Majorca), si può considerare come l'emblema della carriera artistica di Mastro Giorgio.
    Si tratta di un tipo di decorazione che si ottiene su un oggetto già vetrificato e cotto, e consiste nell'applicazione di una sottilissima pellicola di particelle metalliche, che in seguito ad un processo di riduzione chimica ottenuta in forno, determinano effetti di iridescenza di vario colore a seconda del tipo di metallo usato.

   Questa derivò forse da antiche tecniche arabe, portate in Italia da mercanti spagnoli nel 1400, o da artisti italiani recatisi in Spagna per apprenderla in modo più approfondito. Nella nostra penisola il lustro fu attuato nel XVI sec. solo a Gubbio e Deruta, dove venivano lavorati anche oggetti pitturati da altri artisti.
    La tecnica, in parte svelata da Mastro Cencio (secondogenito di Giorgio) alla fine del 1500 al Cavalier Cipriano Piccolpasso , fu ripresa a Gubbio nella seconda metà del 1800, (soprattutto quella del rosso rubino), quasi per nostalgia di un arte che Mastro Giorgio aveva portato via con sé.
   Della tecnica del lustro, Piccolpasso parla nel suo "Libro dell'arte del vasaio", ma nonostante dia le dosi dei materiali del "rosso e l'oro di maiolica", descrive solo il procedimento del secondo colore, che era già conosciuto in passato, mentre il procedimento per il rosso rimase segreto.
   La tecnica viene denominata "lustro ad impasto" per l'insieme di componenti che lo costituiscono. I sali metallici, a cui si deve, dopo la cottura, l'effetto del lustro, vengono addizionati con argilla ed ocra (ossido di ferro), il tutto amalgamato con aceto. L'argilla che può essere bianca o rossa, ha la funzione di eccipiente ed è impiegata per "legare" le particelle metalliche. L'ocra, gialla o rossa, ha anche la funzione di colorante. L'aceto serve invece per rendere questo composto ben unito e liquido, tanto da permettere la stesura a pennello.
    Entro le zone contornate e appositamente riservate, o su spazi liberi, anche in sovrapposizione alle pitture sottostanti, viene steso, a pennello, l'impasto-lustro.
    Una volta steso lo strato di lustro gli oggetti venivano infornati per la 2° cottura: posti in modo da essere difesi dalle fiamme, questi dovevano essere però tutti toccati dal fumo, per evitare l'ossidazione delle parti metalliche dell'impasto (il fumo toglieva all'interno del forno l'ossigeno, responsabile dell'ossidazione).
   Conclusa la seconda cottura , avveniva la ripulitura delle opere in acqua e cenere, poi la lucidatura, più precisa e minuziosa, con una pezza di lana e cenere asciutta.
    A questo punto l'opera era completata e pronta per essere ammirata dal suo creatore, dai suoi discepoli, e dagli acquirenti, che con il passare del tempo l'avrebbero fatta girare per il mondo.

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by Riccardo Ruspi