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   DON MARINO CECCARELLI : Prete-Partigiano
       
 9 Febbraio 2004 - Muore Don Marino Ceccarelli, il Prete Partigiano
 

   E' morto Don Marino Ceccarelli. Sacerdote e partigiano, parroco di Morena, fu cappellano della Brigata partigiana "San Faustino", partecipando ad azioni di resistenza contro i nazisti dopo l'8 settembre 1943.

  La sua parrocchia divenne, in quel periodo, un punto nodale della guerra partigiana ospitando e nascondendo uomini ed armi.

  Era nato nel 1916, nel 1941 aveva celebrato la sua prima messa nella Basilica di S. Ubaldo e subito dopo era stato nominato parroco di Morena (frazione del Comune di Gubbio, posta a circa 25 km dal capoluogo).

  Due anni dopo, all’indomani dell’8 settembre 1943, giorno in cui venne proclamato l'armistizio tra il Regno d'Italia e gli Alleati della Seconda Guerra Mondiale, la sua parrocchia divenne presto un punto nodale della guerra partigiana, ospitando e nascondendo uomini ed armi.

   Don Marino, di fatto, si ritrovò cappellano della Brigata Partigiana "San Faustino", partecipando ad azioni di resistenza contro i nazisti.

   I tedeschi lo chiamavano il “Pastore Bandito” e gli diedero una caccia accanita e quando il 7 maggio 1944
( Vedi intervista, realizzata da  Furio Ferruccio Benigni) giunsero le SS con i paracadutisti della "Goering", lui dopo aver fatto allontanare tutti, all'ultimo momento usci dalla chiesa e dopo uno scontro a fuoco da cui usci vivo, riuscì a nascondersi, ma vide bruciare tutto, infatti il borgo contadino di Morena fu dato alle fiamme proprio per ritorsione contro i partigiani di Don Marino ( Vedi intervista ).

Rastrellamento di quel 7 maggio "...truppe tedesche raggiungevano Morena. Fortuna volle che furono scorti in lontananza, così che la gente del posto e i partigiani ebbero il tempo di allontanarsi. Il prete partigiano don Marino Ceccarelli inizialmente sottovalutò quanto stava succedendo. Si rese conto delle reali intenzioni dei tedeschi quando piovvero i primi proiettili contro la sua casa. Questo è il suo racconto: “Allora mi sono impressionato anch’io. Sono andato in sacrestia, internamente, a nascondere il calice, che era un regalo della prima messa. […] Quando ho chiuso lo sportello dell’armadio, sento parlare dietro i muri, non capisco una parola. Erano i tedeschi. Andai di sopra. Il mitra mi impicciava per uscire e lo lasciai a casa. Così preferii due rivoltelle, sei caricatori e ho azzardato a uscire. Quando […] ho attraversato quell’arco, da dietro alla colonna, qui a distanza di cinque-sei metri mi danno una scarica di mitra. E io dalla colonna ho sparato un caricatore, tutto sul petto del primo”. Il sacerdote non provò particolare imbarazzo per aver fatto fuoco contro i suoi aggressori: “Una guancia la do, due no. Così ho risposto con le armi”. Don Marino Ceccarelli riuscì a fuggire. I tedeschi saccheggiarono e dettero alle fiamme la chiesa, la canonica, l’abitazione della famiglia Brunelli, con l’osteria-spaccio che fungeva da abituale punto di ritrovo di morenesi e partigiani, e altri edifici. Poi rastrellarono la zona circostante..."
    Il 9 maggio a Morena venne fucilato dai tedeschi Bartolini Aurelio, di Giulio, nato a Gubbio il 16 giugno 1925, residente a Pietralunga e partigiano dal 7 febbraio 1944. (da A. Tacchini - Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016).

Distruzioni a Morena in seguito al rastrellamento
La chiesa di Morena distrutta dai tedeschi.
La chiesa ricostruita

 
    Don Marino, a guerra finita, non volle mai lasciare quei luoghi e rimase a Morena per oltre 60 anni, rifiutando sempre le numerose proposte di sistemarsi in altre parrocchie, più vicine alla città di Gubbio.

   Il suo piglio severo ed il suo carattere schietto e franco, le sue battute buffe ed allegre, lo hanno subito reso uno della zona, amato e benvoluto da tutti.

 

 

   il 22 giugno 1994, durante la visita a Gubbio del Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, in occasione del 50° anniversario dell'Eccidio dei 40 Martiri, Don Marino intervenne all'incontro con un discorso in cui ricordò i fatti della guerra di liberazione che lo aveva visto "Prete-Partigiano".

 

Qui sotto Relazione di Giancarlo Pellegrini e Tommaso Rossi sul rastrellamento del maggio 1944 

   Nella relazione dell’Ispettore regionale dell’Umbria della GNR (Guardia Nazionale Repubblicana) al Capo della Provincia, Armando Rocchi, ai primi di maggio 1944, era indicato che la zona di Gubbio era una delle zone umbre al centro dell’attività partigiana.
  
Così dopo un primo rastrellamento alla fine di marzo 1944, un altro ne fu preparato ai primi di maggio.
  
Tale rastrellamento fu preparato con cura, anche perché i partigiani della
Brigata “San Faustino” avevano ormai il controllo della zona, tanto che nella “zona libera” di Pietralunga avevano festeggiato il 1 maggio. Nella notte tra il 30 aprile e il 1 maggio c’era stato il primo aviolancio di materiale bellico da parte alleata tra Morena e Pietralunga.
  Per colpire i partigiani ed anche per mettere fine all’esperienza della “zona libera” i comandi tedeschi avevano pensato di far infiltrare nella brigata “San Faustino” due alti ufficiali tedeschi, travestiti l’uno da ufficiale inglese e l’altro da ufficiale russo: ma questi due, intercettati e scoperti dai partigiani, furono arrestati e fucilati proprio il 7 maggio
(le cui salme sono state alacremente ricercate dai tedeschi, come racconta Don Marino al termine di una intervista)
   L’obiettivo principale del rastrellamento,
(operato da un reparto tedesco con la collaborazione della GNR di Perugia) erano i partigiani tra Morena e Pietralunga, ma fu una vasta operazione che si svolse nel territorio tra Gubbio, Pietralunga, Cantiano, Scheggia, Montone, Apecchio. Partendo da queste città irruppe nella zona di Burano una divisione di Polizia tedesca con autoblindo e cannoncini.
  Questi militari perquisirono accuratamente le case e perlustrarono i boschi sparando raffiche di mitragliatrice; «sparavano – come ha scritto don Marino Ceccarelli – a chiunque avessero veduto», anche perché, dall’aprile 1944, con le direttive emanate dai vertici dei Comandi tedeschi, i militari tedeschi avevano «carta bianca» nella lotta alla guerriglia partigiana.

  
Con tale rastrellamento, durato circa una settimana, furono presi – secondo i dati della GNR – 126 giovani, catturati otto ribelli, di cui cinque fucilati. Le cifre degli uccisi non corrispondevano alla realtà delle cose e anche in questo frangente parecchie vittime furono civili, mentre i partigiani di Morena e altri della “San Faustino” riuscirono in tempo a sganciarsi verso Serra Maggio (altri ritengono verso Bocca seriola) per poi ricomporsi, una volta terminato il rastrellamento. Poiché uno degli obiettivi del rastrellamento era di prendere il parroco di Morena, don Marino Ceccarelli, il “prete-bandito” ritenuto l’organizzatore della banda partigiana di Morena, i tedeschi, non essendo riusciti a prendere il sacerdote, si accanirono sulla Chiesa, incendiandola unitamente a cinque case adiacenti.

   Sulle persone uccise nel rastrellamento in questione nella zona di Burano notizie utili sono state fornite dai parroci, nella relazione inviata al Vescovo. Parroco di Morena era don Marino Ceccarelli, il quale nella relazione ha rievocato la propria esperienza di partigiano e l’attività partigiana della banda di Morena, ma non ha parlato degli uccisi a Morena. Sembra che il Bartolini abbia fatto parte della “San Faustino” dal 7 febbraio al 15 marzo 1944.

   In un podere e relativa casa della zona di S. Margherita di Burano, durante il rastrellamento iniziato il 7 maggio, fu catturato e ucciso il giovane Giovanni Battista Mazzacrelli (detto Tito), di professione muratore. Fu sorpreso in un campo, gli spararono alle spalle raffiche di mitra alle ore 14 circa, lasciando per diversi giorni il corpo lì senza sepoltura. Monsignor Spaziani nel 1947 scrisse che fu ucciso «barbaramente»: l’eco dell’episodio era ancora vivissima. Di tendenza politica di sinistra, che aveva respirato nell’ambiente familiare, Mazzacrelli aveva fatto il militare, ma dopo l’8 settembre 1943 era riuscito a tornare a Gubbio.
L’attività di muratore nella zona di Burano era a mo’ di copertura, in quanto Mazzacrelli era un collaboratore annesso alla 5. Brigata Garibaldi “Pesaro” ed era in tale zona come agente di raccordo tra la Brigata e i potenziali arruolandi che, numerosi, si rifugiavano nella zona di Burano. Non si esclude che qualche spia abbia condotto i militari tedeschi nel casolare dove Mazzacrelli di fatto era nascosto. La salma fu recuperata nottetempo, alcuni giorni dopo, da familiari e da alcuni amici sammartinari. Il riconoscimento della salma fu fatto dalla madre, Annunziata Fecchi, il 12 maggio, presso la camera mortuaria dell’Ospedale di Gubbio.

   Aurelio Bartolini, diciannovenne, fu catturato nella zona di Morena: non si conosce la circostanza, ma, constatato che era renitente al bando Graziani, fu subito passato per le armi. Almeno questo si deduce dal processo verbale datato 12 maggio, redatto dal Ufficio della GNR (Guardia Nazionale Repubblicana) di Gubbio, ricevuto e trascritto in Comune il 24 maggio 1944. Ecco il testo di tale processo verbale: «L’anno millenovecentoquarantaquattro addì 12 maggio in Gubbio nell’Ufficio del comando di distaccamento, noi sottoscritti Caciagli Bruno, primo aiutante comandante del suddetto distaccamento, e Luciani Giuseppe, aiutante dello stesso distaccamento, riferiamo a chi di dovere che verso le ore 11 di ieri, 11 corrente, ci veniva recapitata l’unita scheda di morte con cui il dott. Ferrone, medico condotto di Pietralunga, attesta di aver constatato il decesso di Bartolini Aurelio, di Giulio e Fiorucci Erminia, nato a Pietralunga (altri sostengono a Gubbio) il 16 giugno 1925, celibe, mancante alla chiamata, il quale rimase ucciso a Morena il 9 maggio 1944 in seguito alle operazioni di rastrellamento effettuate dalle truppe tedesche nella zona di Burano. La salma è stata identificata dallo stesso dr. Ferrone […]». Sembra di poter dedurre che la fucilazione fosse stata opera di militari tedeschi.

   Alcune pattuglie di militari tedeschi, muovendo dalla frazione di Camporeggiano (quasi al confine tra i comuni di Gubbio e Umbertide) sopra verso i monti a nord e quelli ad est, uccidevano Antonio Bei in località Madonna dei Monti (i monti ad est di Camporeggiano, nei pressi di Goregge), un commerciante del carbone residente a Gubbio città, che si trovava nella zona senz’altro per lavoro: sembra che fosse in possesso di una discreta somma di denaro.

   Invece nei monti a nord di Camporeggiano, in località Sioli in vocabolo Ceppari veniva uccisa da un ufficiale medico tedesco Maria Palma Smacchi. La poverina, «fatta condurre in camera con un colpo di rivoltella fu uccisa in quanto cieca per la sola ragione che faceva ribrezzo a vederla». Così ha scritto il parroco di Sioli nella sua relazione al Vescovo. Nel piccolo ciò evidenziava come sarebbe stata rigenerata la società con la selezione della razza!

In relazione a quanto sopradescritto:

All’ingresso del cimitero di Gubbio
c’è una lapide dedicata ai caduti della lotta di liberazione, che reca anche il nome di Aurelio Bartolini. Vi è scritto: «In questo cimitero sono sepolti / i caduti nella lotta di liberazione nazionale / in Gubbio 1943 – 1944 / Tommaso Fiorucci / Aurelio Bartolini / G. Battista Mazzacrelli / Palma Smacchi / Florindo Girelli / Sergio Angeloni / Nello Camelia / Antonio Bei / Adelmo Radicchi / Fernando Menichetti / Domenico Turziani / Ciro Tarini / Tolmino Anemone / Giovanni Carfora / Umberto Paruccini / Luigi Bellucci / Dalte Balducci //  onore a chi sacrificò la vita /all’eterno ideale della libertà».



 

Maria Keller De Schleitheim ( Marion "la spia")
    Questo nome è citato da Don Marino all'inizio della sua intervista, come spia.
   In quanto spia, Marion venne fucilata dai Partigiani il 28 maggio 1944.
   Qui di seguito riportiamo il racconto che ne fa il
Console Americano Walter W. Orebaugh che che dal gennaio 1944 entrò, con il nome di "Michele Franciosi", in clandestinità e partecipò a diverse azioni militari insieme ai componenti della Brigata Partigiana "San Faustino".
   Il Console 50 anni dopo, nel 1994, in un libro autobiografico racconta, tra altre vicende, anche quella relativa alla drammatica vicenda che ha come protagonista Maria Keller De Schleitheim (Marion Keller), ungherese, nata in Svizzera nel 1913, poliglotta, di piacente aspetto e dalla biografia incerta. Artista teatrale, tra il 1938 e il 1940 viaggia tra Tunisi, Algeri, Marsiglia, diventata una spia, viene condannata a venticinque anni di reclusione per la sua attività spionistica in Francia ai danni dell’Italia e rinchiusa nel carcere di Perugia a partire dal 1940 fino alla caduta di Mussolini, nel 1943.
  
 La Keller era ancora nel carcere di Perugia, quando
Armando Rocchi divenne capo della Provincia per conto della Repubblica Sociale Italiana e organizzò un finto rapimento per liberarla.
   Forse la Keller diviene la sua amante, la invia a Morena e nelle zone tra Pietralunga e Gubbio alla ricerca di informazioni sulla consistenza e l’azione delle brigate partigiane.
   
 Scoperta nella sua attività spionistica dopo varie peripezie riuscì ad ottenere l’ospitalità di un gruppo di ufficiali inglesi nascosti ad Acquaviva.
   A questo punto particolarmente significativo è quanto scrive il Console Orebaugh:
“Andai immediatamente dal capitano Pierangeli (comandante della Brigata) e gli raccontai dei miei due incontri con Marion Keller e dell’uso che ella aveva fatto del mio cognome che doveva essere ignoto a tutti. Pierangeli non perse tempo: mandò una staffetta a Perugia per scoprire altri dettagli. Tre giorni più tardi ricevemmo informazioni tali che ci convinsero che l’amante ungherese dell’odiato prefetto fosse proprio Marion Keller e che la “elegante puttana” degli ufficiali inglesi fosse una spia".
   "Signor Console –
aggiunse Pierangeli  – ho altre cattive notizie, purtroppo. Sono stato pienamente convinto dalle altre informazioni ricevute dalla staffetta, che Rocchi sappia perfettamente dove la sua piccola pollastrella si trova. Infatti crediamo che sia stata mandata espressamente per spiarci e per localizzare Lei".
   
Pierangeli intervenne
molto deciso: "riuniamo domattina la Corte Marziale e facciamo il processo. Andate ad arrestarla conducetela al presidio di Morena", ordinò a due dei suoi ufficiali.
    Non ci furono altre proteste; salutarono e due ufficiali partigiani partirono immediatamente per Acquaviva per prendere Marion in custodia. Gli ufficiali inglesi furono naturalmente furiosi”.
   
La testimonianza di Orebaugh racconta il processo e continua: “Fu presto smantellata la tesi che l’ungherese fosse una povera rifugiata innocente, incapace di atti di spionaggio. Quando le venne rivolta documentata accusa di essere una spia di Rocchi, Marion dopo aver un po’ tergiversato, scoppiò a piangere e rese piena confessione. “Sì, ero l’amante di Rocchi – singhiozzò- Sì, mi ha mandato quassù a spiarvi e per informarlo. Non avevo scelta. E’ un animale! Cosa mi avrebbe fatto se avessi rifiutato? Dovete riflettere su questo ed avere pietà Signori, sono solo una donna,non avevo scelta, tranne fare quello che lui aveva ordinato supplicò tra le lacrime”.
   
Condannata a morte dai partigiani la giovane spia ungherese Marion Keller venne fucilata il 28 maggio 1944 a Colle Antico di Pietralunga. Fu prima seppellita nei boschi e poi nel cimitero di Colle Antico e recentemente i resti sono stati trasferiti in Germania.
    Su tutta la vicenda della Keller è particolarmente toccante il racconto del giornalista e scrittore perugino Ottorino Gurrieri (nel libro “Una cometa su Perugia”, edito nel 1992) che ricostruisce la vita, l’esperienza tra i partigiani e la fucilazione della Keller a Colle Antico:
    “Un sottotenente, e due uomini avevano già scavato una fossa nascosta dalle piante della radura, ma quando furono vicino, anche Marion la vide, e impallidì. Il sottotenente consegnò a Federmann un foglio di carta. Era la sentenza con cui veniva “condannata a morte per spionaggio contro le forze partigiane la nominata Maria Keller, etc.”
   Max gliela lesse in tedesco. Marion disse con un filo di voce: - Ma davvero volete fucilarmi? - E che; per scherzo? – fece il sottotenente, uno di Cantiano. Max allora la invitò ad avvicinarsi alla fossa. Marion mezza stordita, con voce piangente congiunse le mani e invocò la Madonna... Allora Marion senza dire più una parola fece alcuni passo e fu sull’orlo... L’altro le domandò se aveva qualche desiderio, che si sarebbe interessato per accontentarla. Marion rispose: - Io non ho nessuno al mondo, e quindi non ho nulla da dirvi. Max trasse di tasca un fazzoletto, e voleva bendarle gli occhi. La donna rifiutò. Si inginocchiò, giunse le mani e alzò lo sguardo in alto, dicendo: - Dio mio, perdonami – In questa guisa e mentre pronunciava queste parole ad un segno del sottotenente i due mitra dello slavo e del tedesco la spianarono al suolo. Erano le 10.30. Marion rotolò nella fossa. Ma non era morta. Max con la rivoltella le scaricò nel capo tutte le cartucce. Essa era finalmente spenta, ma pareva guardare ancora con le sue ampie pupille celesti. Tornarono i due partigiani che s’erano allontanati – uno di Cantiano e uno di Pergola, - e cominciarono a ricoprire il corpo inanimato di Marion. Max scrive ancora: “anche all’ultimo momento non si è protestata innocente”.

  
Probabilmente, a giudicare da quanto riferito all'inizio di una
intervista da Don Marino, Marion faceva il doppio gioco, infatti aveva anche avvisato i partigiani dell'imminente rastrellamento del 7 maggio 1944.

 

    La vicenda di Marion Keller, rivive anche nel romanzo storico "Colle Antico" di Gianluca Sannipoli attraverso i racconti di una sua coetanea e di un partigiano umbro.
    Gli anni Trenta, la seconda guerra mondiale, la lotta partigiana, sono lo sfondo di una vita tormentata e avventurosa, alla ricerca della libertà.
   Ma la libertà ha sempre un prezzo. Come scrive la protagonista nel suo diario: Sento sopra il capo un oscuro destino: e non faccio nulla per evitarlo. Sono come una di quelle foglie che cadono nel torrente e nessuno si china a raccogliere.
    Eppure, se uno venisse a raccogliermi, mi potrei salvare ancora. Ma sarei capace di accontentarmi della pace ritrovata? Se Dio, che mi ha sempre trascurata, volesse posare una mano sopra di me!
    Ma io credo in Dio? Oppure non ho che una fede: la libertà? L'autore ha ricostruito quei fatti grazie a piccole pubblicazioni locali e a numerose testimonianze. Molti nomi e i dialoghi sono invece frutto di fantasia.

 

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