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Il 22 giugno 2014 sono passati 70 
anni dall’eccidio, da quella tragica mattina in cui quaranta eugubini morirono 
sotto i colpi dell’esercito nazista. 
			 I nomi dei 40, la 
			loro età: 
				
					| Allegrucci 
					Giuseppe, anni 34 Baldelli Carlo, anni 34
 Baldoni Virgilio, anni 38
 Bartolini Sante, anni 55
 Battaglini Enea, anni 20
 Bedini Ferdinando, anni 39
 Bedini Francesco, anni 50
 Bellucci Ubaldo, anni 34
 Cacciamani Cesare, anni 52
 Cacciamani Enrico, anni 50
 Cacciamani Giuseppe, anni 19
 Farabi Gino, anni 39
 Felizianetti Alberto, anni 23
 Gaggioli Francesco, anni 17
 Ghigi Miranda, anni 30
 Ghigi Zelinda, anni 61
 Lisarelli Alessandro, anni 23
 Marchegiani Raffaele, anni 57
 Mariotti Ubaldo, anni 18
 Migliarini Innocenzo, anni 40
 | Minelli 
					Guerrino, anni 27 Minelli Luigi, anni 42
 Moretti Franco, anni 21
 Moretti Luigi, anni 22
 Pannacci Gustavo, anni 36
 Paoletti Marino, anni 30
 Piccotti Antilio, anni 41
 Pierotti Francesco, anni 40
 Profili Guido, anni 54
 Rampini Raffaele, anni 43
 Rogari Nazzareno, anni 50
 Romanelli Gastone, anni 17
 Roncigli Vittorio, anni 38
 Roselli Luciano, anni 23
 Rossi Domenico, anni 41
 Rossi Francesco, anni 49
 Scarabotta Enrico, anni 36
 Sollevanti Giacomo,anni 18
 Tomarelli Luigi, anni 61
 Zizolfi Giovanni, anni 23
 
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		|  |  
Riportiamo in sintesi la 
storia attraverso la 
ricostruzione della storia fatta dal Prof. Giancarlo Pellegrini: 
«All’alba di giovedì 22 giugno 1944, a Gubbio, in una città desolatamente 
deserta perché terrorizzata dal coprifuoco e dai rastrellamenti dei giorni 
precedenti, 40 cittadini innocenti, tra cui due donne, venivano trucidati per 
rappresaglia dall’esercito tedesco, poiché due giorni prima, nel pomeriggio del 
20 giugno, in un bar del centro – il caffè Nafissi o "de la Caterina" – era 
stato ucciso un tenente medico e gravemente ferito un sottotenente da una 
pattuglia Gap, con una operazione eseguita da detta pattuglia fuori degli ordini 
ricevuti.
 Dopo la liberazione di Roma da parte degli Alleati (4 giugno 1944), 
l’esercito tedesco si stava ritirando verso il nord, verso la linea Gotica.
 Si era nella fase di passaggio del fronte e in quei giorni a Gubbio sembrava che 
l’esercito tedesco avesse pressoché concluso l’arretramento delle truppe oltre i 
confini di questo territorio comunale.
 Il movimento partigiano, operante nella zona, aveva coltivato il 
progetto di voler realizzare la liberazione della città prima dell’arrivo degli 
Alleati, che il 13 giugno avevano liberato Terni, il 16 giugno Foligno ed il 20 
giugno Perugia.
 Nel pomeriggio del 20 giugno, in un clima euforico e confuso, 
nell’illusione che fosse possibile liberare la città dall’esercito tedesco, 
mentre un gruppo di partigiani – con i loro capi a cavallo – scendeva verso la 
città dagli stradoni del monte Ingino, una pattuglia Gap – che aveva ricevuto 
l’ordine di recarsi in località Mocaiana dove due o tre soldati tedeschi stavano 
facendo azione di saccheggio ed incutevano terrore alla popolazione – iniziò 
invece in città il pedinamento dei due ufficiali tedeschi, affrontandoli nel bar 
con l’esito sopra indicato: l’uccisione di uno (Kurt Staudacher) e il ferimento 
dell’altro (Hermann Pfeil).
 Mentre i patrioti scappavano verso il monte, l’ufficiale ferito 
riuscì a farsi strada con la pistola in pugno e a raggiungere il comando 
tedesco.
 La reazione fu immediata: il battaglione tedesco presente nella 
zona subito piazzò cannoni, mitragliatrici, iniziando dalla piazza del Mercato 
sia un’intensa sparatoria verso il monte e verso diversi palazzi cittadini, sia 
il rastrellamento, prendendo in ostaggio gli uomini che incontravano o che 
trovavano nelle abitazioni.
 Verso la sera del 20 giugno, sembrò che tale azione di rappresaglia 
fosse sospesa, dopo che il vescovo mons. Beniamino Ubaldi, portatosi presso il 
comando tedesco situato presso l’Albergo S. Marco, aveva cercato pietosamente di 
far ricadere su elementi slavi la responsabilità dell’uccisione del tenente 
medico, ricevendo da quel comandante tedesco l’assicurazione che venivano 
sospesi i rastrellamenti e l’azione conseguente, purché non si fossero 
verificati altri incidenti.
 Non fu così. Qualche ora dopo la situazione precipitò. Nella notte 
furono ripresi i rastrellamenti. Furono presi uomini e donne, giovani e meno 
giovani, alcuni rilasciati dopo interrogatori sommari, altri trattenuti.
 Inutile risultò, nella mattina del 21 giugno, un secondo intervento 
presso il nuovo comandante tedesco da parte dello stesso vescovo Ubaldi, il 
quale, essendosi reso conto della tragedia che stava per abbattersi sulla 
popolazione eugubina, non esitò a offrire sé stesso pur di salvare gli ostaggi e 
la città. Ebbe un rifiuto sdegnoso.
 All’alba del 22 
giugno fu eseguita la rappresaglia.
 
 
  I quaranta designati, dall’edificio scolastico delle Scuole elementari di via 
Perugina, dove erano stati tenuti in ostaggio, furono condotti in un luogo poco 
distante, dove poi è stato costruito il Mausoleo e in una fossa, fatta scavare 
da altri ostaggi poco prima a ridosso del muro che ancora conserva i segni delle 
pallottole, legati come bestie da macello affinché non potessero fuggire, furono 
uccisi con scariche di mitra, poi finiti a colpi di pistola e ricoperti appena 
con qualche manciata di terra. 
  Tra le quaranta vittime ci furono due donne (madre e figlia), due non nativi del 
territorio eugubino (uno, un contabile di Gualdo Tadino; l’altro, un 
vicebrigadiere dei carabinieri, nativo di Mirto, in Sicilia); ci furono giovani 
e meno giovani, studenti, operai, artigiani, contadini, un professionista, 
alcuni con la responsabilità di famiglie numerose. Ha scritto don Origene Rogari poco tempo dopo la strage: «Un genio 
infernale parve avesse scelto di proposito alla strage quaranta innocenti, 
quaranta casi tutti pietosissimi […] Una madre e la figlia, un figlio unico di 
madre inferma, padri di cinque, di
  dieci 
figli, un padre di cinque bambini già orfani della mamma, due fratelli insieme, 
un padre e il figlio, onesti lavoratori dei campi e della città, due sordomuti, 
che non udirono la loro condanna / che profferir non poterono la loro difesa». La rappresaglia era stata ordinata dal Generale dr. Johann Karl 
Boelsen, allora comandante della 114° Jäger Division, cui apparteneva il 
battaglione di reggimento, che aveva subito l’uccisione del tenente medico e il 
ferimento del sottotenente.
 La strage dei Quaranta Martiri, effettuata il 22 giugno 1944, non 
può essere isolata dal contesto di altri episodi dolorosi e tragici, che la 
popolazione del territorio subì da parte delle truppe nazifasciste.
 Tra le vicende più opprimenti si ricordano: il rastrellamento del 
27 marzo 1944, che sui confini del territorio comunale recò un numero alto di 
morti e arresti, nonché distruzione di case e di edifici; un secondo 
rastrellamento, iniziato il 7 maggio nel Buranese e continuato nei giorni 
successivi, con un numero inferiore di morti ma non di atrocità; la presa in 
ostaggio di 230 persone (anche vecchi, donne e bambini), che si erano rifugiate 
presso il Convento di S. Ubaldo nel luglio 1944, sottoposte a privazioni 
indicibili per l’assenza di cibo e di altri generi necessari, e terrorizzate dal 
fatto che i bombardamenti annunciati e temuti non avrebbero lasciato scampo.
 La strage dei Quaranta Martiri produsse inevitabilmente a Gubbio 
polemiche a non finire, lacerazioni, un clima pesante, che riguardò sia i 
rapporti tra le forze politiche antifasciste, sia i rapporti tra le famiglie dei 
Quaranta e ciò che era espressione del movimento partigiano.
 Poiché diffusa era la convinzione dell’inopportunità delle due 
iniziative partigiane (sia la discesa dal monte per liberare la città sia 
l’attacco ai due ufficiali tedeschi presso il caffè cittadino), di conseguenza 
si attribuiva al movimento partigiano locale la responsabilità di aver provocato 
la rappresaglia tedesca.
 Si chiamavano in causa sia gli esecutori materiali della sparatoria 
al caffè (Belardi, Ferretti, Paoletti, sfiorando anche Capannelli, del quale 
forse non si aveva una spiegazione esauriente di quel che fece); sia il comando 
della Gap (Amelio Gambini); sia il comando del gruppo di partigiani che doveva 
liberare Gubbio (Bruno Enei, nonché Stelio Pierangeli, il quale aveva impartito 
l’ordine di discesa); sia i vertici dell’antifascismo locale (avvocati 
Salciarini e Rossi).
 Una responsabilità tutta particolare veniva attribuita a Ladislao 
Rossi, ritenuto il delatore che avrebbe rivelato al comando tedesco che 
l’uccisione dell’ufficiale medico era stata opera di elementi della resistenza 
locale.
 Queste congetture danno il quadro tormentato delle fratture 
che si erano andate consumando nella comunità eugubina.
 Di fronte alle accuse, alle insinuazioni, che coinvolgevano 
molti, ognuno di questi ha cercato di sgombrare il terreno dalle accuse che lo 
riguardavano, riversando le responsabilità su altri, con un rimpallarsi a catena 
di responsabilità e polemiche a livello cittadino, senza riuscire a far luce 
sulla vicenda.
 Anche il tentativo, effettuato sullo scorcio del 1944, di 
coinvolgere questura, prefettura, comando militare provinciale in una indagine 
per accertare eventuali responsabilità e per iniziare un procedimento penale non 
sortì alcun effetto; l’allora questore Guerrizio giunse alla conclusione che 
nessuna responsabilità, in ordine alla successiva rappresaglia, potesse essere 
addebitata sia ai componenti della pattuglia Gap.
 Ben presto a livello provinciale si lasciò perdere tutto.»
 
	
		|  
		  Ci 
			permettiamo di richiamare alla memoria anchei fatti bellici di quel
			1944, in Italia.
 |  
			
			
			      
			
			Il 1944 fu l'anno 
			della "guerra a Gubbio".
			Infatti la nostra città finì per trovarsi al "fronte" 
			in mezzo gli opposti schieramenti. Gli Alleati, 
			dopo lo 
			sbarco in Sicilia 
			(10 luglio 1943) avevano iniziato la loro risalita lungo la 
			penisola italiana e avevano condotto una lunga e accanita battaglia 
			per occupare il settore di 
			Cassino 
			la cui conquista (18 maggio 1944) permise alle divisioni 
			britanniche e statunitensi di continuare l'avanzata verso il nord 
			unendosi, il 25 maggio, presso Littoria con le truppe sbarcate ad 
			Anzio il 22 gennaio 1944. Insieme continuarono l'avanzata verso
			Roma, 
			che cadde nelle loro mani il 4 giugno 1944, due giorni prima 
			del grande sbarco nel nord dell'Europa, in Normandia (6 giugno). La 
			loro avanzata proseguì poi in direzione di Livorno e Firenze, ma i 
			Tedeschi costituirono una prima linea di sbarramento (Linea del 
			Trasimeno) e contestualmente una nuova e robusta linea di difesa 
			più a nord, la cosiddetta linea gotica, posta attraverso 
			l'Appennino tosco-emiliano.  
				
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					 |     L' 11 giugno 1944, superati il lago 
			di Bolsena ed i monti Sabini, il fronte sul territorio italiano 
			correva approssimativamente lungo la zona Talamone, Orbetello, 
			Mandano, Sorano ed Orvieto, per poi scendere, nella valle del Tevere 
			e del Nera, tra Narni e Terni, fino a sud di Rieti e di Cittaducale.
			«incaricare 
			studiosi/ricercatori per la stesura di un elenco definitivo, per 
			restituire alla memoria i nomi dei civili che trovarono la morte nel 
			nostro comune; individuare, in collaborazione con gli enti e le 
			associazioni interessate, un luogo ove sistemare una lapide o altro 
			elemento commemorativo riportante i nomi di tutte queste vittime 
			innocenti della guerra».Il 20 giugno 1944 il X Corpo d'armata britannico occupava
			Perugia 
			senza difficoltà; incontrava invece alcuni ostacoli già sulle 
			colline che si trovano a nord del nostro capoluogo di Regione. Quei 
			primi ostacoli dimostravano che "La fase di inseguimento delle 
			truppe di Kesselring in ritirata era terminata. La linea tedesca era 
			stata adesso ristabilita. Kesselring aveva ripreso il controllo 
			delle sue formazioni ed era più che mai deciso a ripetere i successi 
			difensivi dell'anno precedente. Gli Alleati avrebbero dovuto pagare 
			in uomini e soprattutto, in tempo, per ogni chilometro della loro 
			avanzata dal Trasimeno alla linea Gotica" ( W. Jackson).
 Il 30 giugno 1944 si era conclusa la
			“Battaglia del Trasimeno”, 
			che aveva visto scontrarsi lungo la “Trasimene Line” la X Armata 
			Tedesca e l’VIII Armata Inglese. La “Trasimene line”, o “Albert line” 
			come la indicavano i tedeschi, era una linea difensiva realizzata 
			dai tedeschi che partiva da Castiglion della Pescaia sul Tirreno per 
			raggiungere l’Adriatico poco a sud di Ancona.
 Dopo giorni di combattimenti con alterne vicende, le forze 
			alleate riuscivano finalmente ad entrare in possesso di
			Arezzo (16 
			luglio 1944) e dintorni. 
			Siena era già conquistata (3 luglio 1944). Sul 
			fronte adriatico Partigiani e militari italiani avevano liberato
			Macerata il 30 
			giugno, e successivamente le truppe alleate raggiungevano la 
			zona di Ancona ed 
			iniziava la battaglia per la città, terminata il 18 luglio 
			con la sua conquista. Lo stesso giorno  sulla costa tirrenica, si 
			verificava un cedimento del fronte tedesco e gli alleati 
			raggiungevano l'Arno ad est di Pisa, mentre il giorno successivo (19 
			luglio) entravano in 
			Livorno. 
			Pisa per la liberazione dovrà attendere il 2 settembre, 
			mentre Firenze 
			sarà liberata l'11 agosto.
 Gubbio fu liberata 
			il 25 luglio 1944 
			e fino quel giorno fu duramente bombardata dalle artiglierie 
			tedesche che, dai monti circostanti, battevano la vallata per 
			contrastare e rallentare l'avanzata delle truppe di liberazione.
 Da questo quadro storico, seppure scarno e necessariamente 
			schematico, si può capire come il territorio del nostro Comune 
			insieme a quello dei comuni limitrofi (Umbertide, Pietralunga, 
			Cantiano, Scheggia, Costacciaro, Sigillo, Fossato di Vico e Gualdo 
			Tadino) venne a trovarsi in una fascia geografica che vide, 
			soprattutto nel periodo marzo-luglio 1944, un progressivo 
			intensificarsi di operazioni e scontri bellici tra gli opposti 
			schieramenti, con l'aggiunta delle forze partigiane.
 Purtroppo in mezzo a tante armi c'erano anche tanti civili inermi 
			che spesso sono stati oggetto e vittime di ingiustificate violenze e 
			di crudeli esecuzioni.
 
  Per quanto riguarda il Comune di Gubbio, oltre alla 
			ricordata crudelissima esecuzione dei 
			"40 Martiri" del 22 giugno 1944, 
			occorre ascrivere alla storia anche la morte di tanti altri civili 
			innocenti, come le nove vittime  del bombardamento del 13 giugno a 
			Branca, le due di S.Angelo dopo Serra, le tre di Villamagna, le tre 
			di Padule e di S. Martino che recentemente sono state riportate alla 
			memoria da 
			
			Gianluca Sannipoli, 
			e poi molti altri casi singoli. Oggi purtroppo dobbiamo affermare che non esiste un elenco 
			preciso e definitivo, riteniamo infatti che l'elenco contenuto 
			nella 
			
			delibera n° 312 
			adottata dalla Giunta Municipale di Gubbio in data 13 aprile 1954 ( 
			ricordata in un recente lavoro di Don 
			Ubaldo Braccini &
			Fabrizio Cece) sia poco 
			attendibile in quanto accomuna civili non armati "morti in seguito a 
			rastrellamento" e "morti in combattimento". L'elenco inoltre è anche 
			alquanto incompleto giacché alcuni morti non vi figurano 
			affatto. Per esempio non vi figura Ubaldo Palazzari, figlio di 
			"Rigo de Ragnetto", 18 anni, morto a Fontanelle il 4 luglio 
			1944, colpito da una scheggia di bomba mentre si trovava davanti la 
			sua casa colonica.
 Vorremmo ritornare, con discrezione, a sollecitare nuovamente la
			stesura di un elenco definitivo, per poter restituire alla 
			memoria anche i nomi di altri "morti civili non combattenti" che 
			trovarono la morte nel Comune di Gubbio a seguito dei fatti storici 
			sopra ricordati, nel 1944.
 Il 
			
			Consiglio Comunale di Gubbio 
			ha pienamente recepito tale richiesta tant'è che, nel gennaio 2011, 
			ha approvato all'unanimità' un 
			
			ordine del giorno 
			(a firma dell'allora Presidente del Consiglio Antonella Stocchi) tendente 
			ad
 Vogliamo sperare che il tutto non cada nel dimenticatoio, anzi 
			auspichiamo che il nuovo Consiglio Comunale e il nuovo Sindaco, 
			Prof. Filippo Stirati, 
			voglia dar seguito a tali decisioni tendenti a realizzare una 
			degna sistemazione ad una lapide o cippo riportante i nomi di 
			tutte quelle vittime della guerra, innocenti e dimenticate, 
			morte a causa della guerra, pur non essendo in guerra.
 Pubblichiamo un elenco, pur 
			incompleto e sicuramente perfettibile.
 
			                                          
			
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